24. Esche veloci

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Una delle domande che ricevo più spesso riguarda la velocità di azione dell’esca e in genere mi si chiede come velocizzarla.

Del tipo: ” io sono contento delle mie boilie, solo vorrei che fossero più veloci e che l’acqua entrasse più rapidamente”.

Abbiamo visto in una delle pillole precedenti come la velocità di azione sia legata alla capacità degli ingredienti attivi e attrattivi di uscire dall’esca, non tanto dalla velocità con cui l’acqua spappola la boilie trasformandola in una poltiglia (dote questa comunque interessante per molti carpisti).

Nel dare una risposta ci si concentra sul cambiare i sottili equilibri meccanici del mix, oppure sulla modifica sostanziale della componente liquida attrattiva dell’esca stessa. In realtà vi è una soluzione molto più veloce che ci permette di aumentare sia l’attrattività specifica sia i tempi di scioglimento in una volta sola, rispettando perfettamente la ricetta di partenza della boilie.

Questa soluzione nasce dal passato remoto, quando non era detto che le esche dovessero necessariamente essere sferiche per chiamarsi boilie!

Un processo produttivo ci permette di realizzare molte esche molto reattive in acqua senza far ricorso ad attrezzi come la tavola di rullaggio e volendo neppure all’estrusore. Prima di proseguire diciamo subito che il grosso limite di questa tipologia di esche è di non poter essere scagliate a grandi distanze a causa della forma poco aerodinamica (la sfera è il solido migliore da questo punto di vista), ma questo fattore è ininfluente per chi pastura dalla barca o in prossimità della riva.

Si tratta delle esche cubiche o cilindriche tagliate a coltello dopo cottura.

Questo processo, prevede di stendere l’impasto in blocchi di qualche centimetro di spessore, usando un semplice attrezzo come i mattarello e usando magari due dime a spessore per svolgere velocemente la pratica.

Io mi ero avvitato al tavolo di lavoro due assicelle parallele alte 2 centimetri e poste a una distanza l’una dall’altra di qualche centimetro inferiore alla lunghezza del mattarello. In questo modo stendevo grossolanamente l’impasto fra le due assicelle e poi ci rullavo sopra il mattarello fino a stendere allo spessore omogeneo tutto l’impasto.

Lo tagliavo quindi in parallelepipedi di circa 2 X 10 X 10 centimetri di misura e cuocevo per bollitura rivestendo i panetti con la pellicola trasparente in modo da non far andare a contatto diretto con l’acqua di bollitura, mantenendo così integri tutti gli ingredienti idrosolubili. Oppure ponevo sui cestelli e cuocevo direttamente a vapore (in epoca successiva).

Una volta lasciati raffreddare i panetti così ottenuti, li tagliavo in cubi da 2X2X2 con un coltello affilato e mi trovavo quindi con tanti cubi che non avevano crosta superficiale e quindi nessuna barriera all’entrata oppure uscita dei liquidi.

Di fatto una boilie sferica è completamente ricoperta da una sottile crosta superficiale data dagli amidi gelatinizzati che in cottura tendono a venire in superficie e per quanto poco questa barriera rallenta di molto lo scambio in acqua almeno nelle prime 2 ore di immersione (se il mix è fatto bene).

Il cubetto invece ha almeno 4 lati grezzi, dalla parte tagliata per intenderci, che non offrono nessuna barriera, permettendo al cubo di consumarsi in un tempo dimezzato rispetto a una sfera di pari volume.

Un altro sistema prevedeva di estrudere le salsicce e disporle in maniera concentrica sui cestini (come una grande spirale) lasciando degli spiragli dai quali il vapore potesse filtrare e passare fra i cestini stessi.

A fine cottura, dopo aver lasciato raffreddare, tagliavo le salsicce in cilindri e questi avevano i due lati del taglio grezzi alla pari del cubo, consumandosi quindi in un tempo inferiore di 1/3  alla sfera di pari volume.

I cubetti si possono innescare come le boilie, necessitano solamente di un hair rig più lungo di qualche millimetro, oppure di terminali più dinamici tipo D rig.

Si può comunque scegliere di innescare una normale esche rotonda, fatta con lo stesso mix e ingredienti dei cubetti e di utilizzare questi ultimi esclusivamente come pastura di contorno.

Nel prossimo episodio un bellissimo cameo di Stefano Forcolin, sulle caratterizzazioni del mix 50/50.

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Sono nato in provincia di Treviso nel luglio del 1972 ed ho scoperto la passione per la pesca all'età di circa sei anni, fermandomi a guardare i pescatori di trote lungo il fiume della mia cittadina. Purtroppo mio padre Pietro non era un appassionato, quindi mi toccò arrangiarmi in maniera autonoma, munito solo della mia curiosità di bambino e confidando nella pazienza di quei vecchi pescatori che tempestavo di domande circa la tecnica, i nodi, le esche e le catture. Scoprii allora che nella pesca nulla è regalato e le informazioni che ricevevo erano più stimoli a sperimentare che non risposte certe. I miei genitori si decisero a farmi la licenza a otto anni, limite minimo consentito dall'associazione pescatori, dopo due anni di gavetta fatti nei laghetti sportivi pescando le trote. Ho praticato tutte le tecniche dell'epoca, canna fissa a persici sole, passata al tocco in torrente, spinning con cucchiaino e pesca a fondo classica per carpe, anguille e pesci gatto. Per mia fortuna la provincia di Treviso è sempre stata generosa in termini di ambienti e stimoli, permettendomi di crescere come pescatore a 360°. Mio padre Pietro morì prima del mio diciottesimo compleanno e l'anno che ne seguì fu per me molto difficile, introspettivo e buio, non pescai per molti mesi e mantenni l'aggancio con la passione solo grazie alle riviste di pesca che divoravo assiduamente. Fu proprio per merito di una rivista che conobbi la nuova tecnica importata dall'Inghilterra e grazie a un autore in particolare, Giorgio Balboni, me ne innamorai! Il carpfishing degli anni novanta era differente, molto introspettivo e adatto a pescatori piuttosto schivi e solitari, disposti a isolarsi anche per lunghi periodi in ambienti vergini, dove i cappotti erano all'ordine del giorno. Io ero il candidato ideale visto che già vivevo in un mio mondo fatto esclusivamente di allenamenti in palestra e momenti passati da solo in mezzo alla natura. Come spesso accade nella vita, il destino mise sulla mia strada le persone giuste e così durante una trasferta al negozio della famiglia Boscolo di Preganziol incontrai “Cambogia”, una delle figure più importanti della mia vita, uomo ricco di vicissitudini e orfano di padre come me, capace di gustare i profondi silenzi della pesca. Diventammo inseparabili e la decade che seguì a quel primo incontro ci vide affrontare le acque di tutta Italia e le mecche estere. Alcune volte siamo stati i primi a portare questa tecnica in acque vergini con altalenanti successi ed enormi soddisfazioni, ma noi non pescavamo solo per catturare pesce, avevamo bisogno di evadere da una realtà che ci opprimeva per rifugiarci in riva a qualche corso d'acqua dove stavamo in sintonia, senza parlare anche per giorni. E nonostante tutto ci capivamo al volo solo con uno sguardo. Il carpfishing mi ha rapito per buona parte della mia gioventù fissando ricordi indelebili di pescate solitarie durate anche trenta giorni consecutivi, in ambienti incontaminati. Mi sono spinto al limite e stavo per cadere nell'oblio dal quale mi sono salvato grazie alla nascita dei miei figli che mi hanno riportato a vivere in maniera costruttiva questa passione. Nel frattempo ero già diventato l'esperto di esche del mio piccolo gruppo di amici ed è stato chiaro fin da subito che la boilie avrebbe condizionato il mio modo di vivere la passione per la pesca alla carpa. Negli anni della ragione, grazie allo slancio imprenditoriale del giovane Fabio Boscolo, erede di una famiglia d’illuminati commercianti, nacque l'azienda Big Fish con la quale ho collaborato fino al 2010 in compagnia dell'amico e "guru" dell'esca Sandro Minotto. Gli anni con Big Fish mi hanno permesso di attingere direttamente all'e-sperienza di Richworth Streamselect, la prima industria nata per la produ-zione di boilies e di avere contatti diretti con i più grandi produttori di pet food e mangimi. Sono riuscito anche a realizzare il sogno di contattare Fred Wilton, il vero "Bait guru" del libro, con il quale ho intrapreso un rapporto di amicizia epistolare fatto di consigli, di aneddoti e credo di essere l'unico Italiano ad aver personalmente conosciuto l'inventore della boilie. Big Fish mi ha permesso di avere un filo diretto con tutti gli appassionati Italiani, grazie all'esperienza più bella e impegnativa della mia vita, rappresentata dalla gestione del monumentale forum a tema dell’azienda dove raccogliemmo un mondo d’informazioni, ricette, esperienze e consigli purtroppo andati persi. Negli ultimi anni ho ricevuto più di 10.000 messaggi personali suddivisi fra forum ed email ai quali mi pregio di aver risposto con enorme soddisfazione e spero chiarezza. Questo bagaglio d'informazioni mi ha spinto a creare prodotti per l'esca dedicati al nostro territorio e ai nostri ambienti, facendo diventare Big Fish la principale azienda del settore in Italia e una delle poche in grado di esportare conoscenza anche in Francia e Inghilterra. Avevo tre sogni per ciò che riguarda la ricerca e la diffusione delle competenze tecniche, elaborare una mia ricerca sull'esca, progetto riuscito nel 2012 sviluppando la teoria dell'elevata energia potenziale, ottenuta grazie alla ricerca e lo sviluppo di super nutrienti a base di grassi predigeriti e modificati, sfociata poi nel White fish mix. Creare un'esca pronta a mio nome, iniziativa riuscita nel 2013 con lo svi-luppo della crazy ready made, una boilie costruita su un’idea ambiziosa con tutti gli ingredienti nutritivi e attrattivi prodotti in autonomia e non mutuati da altri settori. L’ultimo dei miei sogni era scrivere un libro per raccogliere tutto il sapere e le esperienze di questa vita di studi, di ricerche e di avventure di pesca.