62. Pesca in fiume

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Le mie prime esperienze di pesca alla carpa, utilizzando le boilie e le tecniche “moderne” che arrivavano dall’Inghilterra, le ho avute in fiume, più precisamente sul Piave, il più grande corso d’acqua della mia terra.

Eravamo decisamente poco esperti perché arrivavamo da un paio di stagioni svolte alle cave di Casale, due piccoli bacini dove era decisamente più facile riuscire a catturare carpe.

Ma il fiume ci attraeva molto di più perché pieno di incognite e misteri, primo fra tutti il non sapere esattamente  cosa si celasse nelle sue acque profonde e correnti.

Ripropongo questi ricordi di gioventù perché ritengo ci possa essere ancora molto di attuale, che potrebbe aiutare un neofita che decide di cimentarsi alla scoperta di questo particolare tipo di spot.

La prima difficoltà fu capire dove posizionarsi, cercando di individuare delle aree dove fosse certa la presenza delle carpe(che all’epoca non era poi cosa scontata). Riuscimmo a risolvere la cosa scegliendo uno spot alla fine di un campo gara di livello nazionale, certi del fatto che anche le grosse carpe fossero attratte in pianta stabile dalla pasturazione copiosa riversata nel fiume durante le competizioni. Inoltre, le informazioni raccolte dai pescatori locali, ci confortavano con le voci delle numerose rotture che avvenivano durante le competizioni, a causa dell’aggancio di pesci fuori portata per gli attrezzi usati.

Capimmo subito che in fiume si possono insediare le grosse carpe in due modi, caratterizzati dagli spot differenti.

   -Nelle aree di stazionamento

   -Nelle aree di passaggio

I pesci sono soliti stazionare alla fine dei giri d’acqua in uscita dalle curve più accentuate, dove la corrente scava delle poderose buche e spesso vi sono grosse piante cadute in acqua a causa delle piene e dell’erosione. In questi posti, il pesce riesce a stare al sicuro di questi inespugnabili rifugi, con l’acqua costantemente ossigenata, a causa del moto della corrente. Inoltre, la corrente stessa continua a portare nutrimento, praticamente fuori della porta di “casa” del pesce!

In questi spot è possibile catturare le carpe in ogni momento della giornata, basta che si apra una “finestra” di alimentazione per far cadere il pesce nel nostro inganno. Purtroppo la parte difficile è riuscire ad estrarle, senza reciproco danno, dall’intrigo di rami e ostacoli che ci sono nei pressi.

Personalmente non amo molto questo tipo di approccio perché è rischioso per il pesce! Riconosco però che in alcuni casi l’unico modo per prendere i pesci è cercarli nei pressi della loro tana!

Le accortezze da mettere in campo sono l’utilizzo di monofili diretti(cioè caricati in bobina) di grosso diametro, non inferiore allo 0,40 mm. e sarà indispensabile l’uso di terminali che consentano lo sgancio immediato del piombo in caso di incaglio.

Personalmente utilizzavo un sistema arcaico (all’epoca non vi erano tutti gli accessori odierni) con un “helicopter rig” dove il piombo da 140 grammi , veniva legato alla girella finale con un monofilo dello 0,20mm.

Inoltre il terminale non superava le 20 libbre di tenuta e la lunghezza di 20 centimetri , garantendo che la parte più debole dell’intero costrutto, fossero proprio questi ultimi cm. e che la maggior parte delle rotture, lasciasse solo l’amo in bocca allo sfortunato pesce.

Un altro atteggiamento ideale, prevedeva di pasturare con esche molto attrattive (nel mio caso un fishmeal con aggiunta di fegato e sangue e aroma alla fragola) direttamente all’interno dei ripari, lontano dalla pescata, per poi dare uno stimolo abbondante al di fuori delle piante sommerse il giorno della pescata.

L’intento era abituarle alla pappa buona e convincerle a venire a mangiare appena fuori dagli alberi, guadagnando delle possibilità di successo.

Inutile aggiungere che dormivamo con le canne praticamente in tenda…e con un occhio aperto, pronti a ferrare al primo segnale!

Nonostante questo, catturavamo un pesce su tre, ma per fortuna non facevamo grossi danni e non ricordo di aver mai rotto l’intera linea, ma sempre il pezzettino finale.

Maturata un minimo di esperienza, decidemmo che era  venuto il momento di sfruttare aree nuove, intercettando il pesce nei suoi spostamenti, visto che ci eravamo accorti che catturavamo pesci già presi anche in aree differenti, sinonimo questo di una certa mobilità.

Fu facile anche comprendere che il pesce tendeva a spostarsi durante le fasi di marea montante (il Piave è soggetto ad elevate escursioni) quando cioè l’acqua del mare si insinua sotto quella dolce, portando effettivamente nuovo nutrimento e stimoli.

Questo è il tipo di approccio che preferisco in acqua corrente e di fatto è quello che può dare i risultati più eclatanti a patto di scegliere con cura il posto giusto, pasturare bene ed avere chiari alcuni concetti di base su approccio e terminali.

La scelta di pescare nei punti di passaggio è una scelta matura, che scaturisce dal comprendere come la corrente muove e sposta il cibo naturalmente sul fondo del fiume, e dall’aver capito che le carpe sfruttano delle direttive privilegiate per spostarsi dalle e verso le aree di stazionamento.

Intercettare con una buona pasturazione significa avere la possibilità di prendere più pesci nella stessa sessione, e avere ottime possibilità di riuscita del combattimento, senza pericolo che la carpa se incagli in qualche ostacolo imprevisto.

Diventa fondamentale selezionare attentamente lo spot in modo da non sprecare pastura inutilmente o peggio gettare da mangiare dove il pesce non passa mai.

La nostra postazione ideale si trova nei pressi di aree di rifugio classiche, come grosse buche profonde, grandi alberi caduti in acqua oppure in prossimità delle aree di frega, come le anse, le morte ecc. (ovviamente questo consiglio è valido solo nella stagione adatta, ossia sul finire della primavera).

Cerchiamo di stare sulla sponda lambita dal vivo di corrente, poiché sarà molto più semplice controllare le calate se queste avvengono sotto i nostri piedi. Di fatto, questa scelta ci rende anche meno vulnerabili al principale problema della pesca in corrente, in altre parole i detriti, rami e altri tipi di disturbo portati dall’acqua, che rischiano di impigliarsi al filo disturbando la nostra azione.

Per contrastare l’azione poderosa della corrente, servono zavorre generose. Nel mio caso ho sempre usato dei sassi tondi da mezzo chilogrammo, legati alla linea madre con uno spezzone di filo da 0,20 mm. destinato a spezzarsi durante la ferrata del pesce, liberando la lenza madre da ogni impedimento.

La mancanza di peso aiuta a portare velocemente il pesce a galla, cosa fondamentale pescando su fondali di 4-5 metri, dove il peso della colonna d’acqua gioca a favore del nostro avversario durante il combattimento.

I terminali, piuttosto pesanti e lunghi, saranno costruiti in nailon di grosso diametro, non troppo rigido. Io ho sempre ritenuti ideali i nailon extrasupple dedicati alla pesca in mare col palamito, su cui ricavare delle asole di chiusura usando le crimp metalliche. Il mio favorito è il Crazy D rig di cui vi parlerò nella pillola che seguirà questa.

Le punte delle canne saranno parallele all’acqua o puntate verso di essa e non si utilizzeranno gli avvisatori visivi (swinger) poiché non vi possono essere partenze in calata e che il moto dell’acqua sui cimini, farebbe suonare costantemente gli avvisatori a causa del su-giù di quest’accessorio.

In questo tipo di situazione, due canne sono già tante, perché una si pone qualche metro a monte, mentre la seconda direttamente di fronte alla posta. In caso di cattura, conviene rilanciare immediatamente, magari preparando la terza canna già pronta per recare il minimo disturbo possibile e favorire le catture multiple.

La cattura appena compiuta, immediatamente fotografata, andrà rilasciata decisamente a valle dello spot, per non recare disturbo a eventuali altri pesci in prossimità della pastura.

Io ho sempre preferito pormi all’uscita di una leggera curva, dove la corrente va proprio a sbattere sulla sponda che abbiamo sotto i piedi, perché anche i pesci, quando si fanno trasportare negli spostamenti, sono costretti a transitare in prossimità della stessa.

Anche la nostra pasturazione, lanciata sufficientemente a monte dello spot, si depositerà fra i sassi e le ghiaie pulite di questa porzione di fondale.

Per capirsi, sul fiume Sile, dove la corrente è particolarmente sostenuta e dove pescavo su un fondale di 5 metri, lanciavo le mie insidie almeno 30 metri a monte dello spot di pesca.

La pasturazione preventiva sarà effettuata con grosse boilie molto nutrienti, realizzate con un mix piuttosto chiuso, per evitare che le esche stesse si slavino degli attiranti che contengono in tempi troppo brevi. Per appesantire il mix e chiudere la struttura, si può usare l’argilla o le terre di sòmmè da pastura, inserite nel mix in dosaggi fra il 10 e il 20%.

Altra soluzione efficace è intrappolare le boilie in grosse palle di method molto coeso, ricco di amidi e gelificanti, in modo da sciogliersi in maniera graduale, lasciando libere un po’ alla volta le palline inglobate.

Durante la pescata invece, utilizzavo esclusivamente method con tempi di scioglimento rapidi, gettato in grosse palle ancora più a monte, a creare una scia di micro particelle che finiva a sbattere sulla sponda, proprio in prossimità dei miei terminali. Per la pasturazione localizzata nei pressi dell’innesco, utilizzavo delle generose compresse di Pva piene di boilie sbriciolate grossolanamente.

Quest’approccio diretto richiede buone quantità di esca distribuite con regolarità almeno 2-3 volte a settimana. Personalmente cercavo di ottimizzare i tempi, data la lontananza dallo spot, pasturando molto pesantemente a fine pescata, prima di tornare a casa, per poi ripetere 2 giorni prima della successiva, in modo da fare un solo viaggio, oltre a quello necessario per andare sullo spot.

Nella prossima puntata parleremo delle mie esche per Piave e Sile…due boilie che hanno 20 anni di distanza fra loro!

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Sono nato in provincia di Treviso nel luglio del 1972 ed ho scoperto la passione per la pesca all'età di circa sei anni, fermandomi a guardare i pescatori di trote lungo il fiume della mia cittadina. Purtroppo mio padre Pietro non era un appassionato, quindi mi toccò arrangiarmi in maniera autonoma, munito solo della mia curiosità di bambino e confidando nella pazienza di quei vecchi pescatori che tempestavo di domande circa la tecnica, i nodi, le esche e le catture. Scoprii allora che nella pesca nulla è regalato e le informazioni che ricevevo erano più stimoli a sperimentare che non risposte certe. I miei genitori si decisero a farmi la licenza a otto anni, limite minimo consentito dall'associazione pescatori, dopo due anni di gavetta fatti nei laghetti sportivi pescando le trote. Ho praticato tutte le tecniche dell'epoca, canna fissa a persici sole, passata al tocco in torrente, spinning con cucchiaino e pesca a fondo classica per carpe, anguille e pesci gatto. Per mia fortuna la provincia di Treviso è sempre stata generosa in termini di ambienti e stimoli, permettendomi di crescere come pescatore a 360°. Mio padre Pietro morì prima del mio diciottesimo compleanno e l'anno che ne seguì fu per me molto difficile, introspettivo e buio, non pescai per molti mesi e mantenni l'aggancio con la passione solo grazie alle riviste di pesca che divoravo assiduamente. Fu proprio per merito di una rivista che conobbi la nuova tecnica importata dall'Inghilterra e grazie a un autore in particolare, Giorgio Balboni, me ne innamorai! Il carpfishing degli anni novanta era differente, molto introspettivo e adatto a pescatori piuttosto schivi e solitari, disposti a isolarsi anche per lunghi periodi in ambienti vergini, dove i cappotti erano all'ordine del giorno. Io ero il candidato ideale visto che già vivevo in un mio mondo fatto esclusivamente di allenamenti in palestra e momenti passati da solo in mezzo alla natura. Come spesso accade nella vita, il destino mise sulla mia strada le persone giuste e così durante una trasferta al negozio della famiglia Boscolo di Preganziol incontrai “Cambogia”, una delle figure più importanti della mia vita, uomo ricco di vicissitudini e orfano di padre come me, capace di gustare i profondi silenzi della pesca. Diventammo inseparabili e la decade che seguì a quel primo incontro ci vide affrontare le acque di tutta Italia e le mecche estere. Alcune volte siamo stati i primi a portare questa tecnica in acque vergini con altalenanti successi ed enormi soddisfazioni, ma noi non pescavamo solo per catturare pesce, avevamo bisogno di evadere da una realtà che ci opprimeva per rifugiarci in riva a qualche corso d'acqua dove stavamo in sintonia, senza parlare anche per giorni. E nonostante tutto ci capivamo al volo solo con uno sguardo. Il carpfishing mi ha rapito per buona parte della mia gioventù fissando ricordi indelebili di pescate solitarie durate anche trenta giorni consecutivi, in ambienti incontaminati. Mi sono spinto al limite e stavo per cadere nell'oblio dal quale mi sono salvato grazie alla nascita dei miei figli che mi hanno riportato a vivere in maniera costruttiva questa passione. Nel frattempo ero già diventato l'esperto di esche del mio piccolo gruppo di amici ed è stato chiaro fin da subito che la boilie avrebbe condizionato il mio modo di vivere la passione per la pesca alla carpa. Negli anni della ragione, grazie allo slancio imprenditoriale del giovane Fabio Boscolo, erede di una famiglia d’illuminati commercianti, nacque l'azienda Big Fish con la quale ho collaborato fino al 2010 in compagnia dell'amico e "guru" dell'esca Sandro Minotto. Gli anni con Big Fish mi hanno permesso di attingere direttamente all'e-sperienza di Richworth Streamselect, la prima industria nata per la produ-zione di boilies e di avere contatti diretti con i più grandi produttori di pet food e mangimi. Sono riuscito anche a realizzare il sogno di contattare Fred Wilton, il vero "Bait guru" del libro, con il quale ho intrapreso un rapporto di amicizia epistolare fatto di consigli, di aneddoti e credo di essere l'unico Italiano ad aver personalmente conosciuto l'inventore della boilie. Big Fish mi ha permesso di avere un filo diretto con tutti gli appassionati Italiani, grazie all'esperienza più bella e impegnativa della mia vita, rappresentata dalla gestione del monumentale forum a tema dell’azienda dove raccogliemmo un mondo d’informazioni, ricette, esperienze e consigli purtroppo andati persi. Negli ultimi anni ho ricevuto più di 10.000 messaggi personali suddivisi fra forum ed email ai quali mi pregio di aver risposto con enorme soddisfazione e spero chiarezza. Questo bagaglio d'informazioni mi ha spinto a creare prodotti per l'esca dedicati al nostro territorio e ai nostri ambienti, facendo diventare Big Fish la principale azienda del settore in Italia e una delle poche in grado di esportare conoscenza anche in Francia e Inghilterra. Avevo tre sogni per ciò che riguarda la ricerca e la diffusione delle competenze tecniche, elaborare una mia ricerca sull'esca, progetto riuscito nel 2012 sviluppando la teoria dell'elevata energia potenziale, ottenuta grazie alla ricerca e lo sviluppo di super nutrienti a base di grassi predigeriti e modificati, sfociata poi nel White fish mix. Creare un'esca pronta a mio nome, iniziativa riuscita nel 2013 con lo svi-luppo della crazy ready made, una boilie costruita su un’idea ambiziosa con tutti gli ingredienti nutritivi e attrattivi prodotti in autonomia e non mutuati da altri settori. L’ultimo dei miei sogni era scrivere un libro per raccogliere tutto il sapere e le esperienze di questa vita di studi, di ricerche e di avventure di pesca.